Paolo Casicci
29 Giugno 2018
Matteo Ragni: il panino perfetto si serve con design e ironia

Dall’inginocchiatoio al rifugio per mangiare isolati, la collezione nata da un workshop
Dedicato a chi cerca nel design la forma e la funzione, ma anche la giusta dose di ironia. L’idea era di celebrare un’icona della cultura alimentare italiana nel mondo come il panino con una serie di oggetti, gadget e arredi che esaltassero sia il panino in sé sia il suo rito, dalla preparazione al servizio fino della degustazione. Ne è nato Buono e giusto, il workshop della Scuola Politecnica di Design di Milano in collaborazione con Panino Giusto e Accademia del Panino che ha portato gli allievi a disegnare otto creazioni sotto la guida e la supervisione di Matteo Ragni e di Antonio De Marco.

Eat, pray, love, l’inginocchiatoio disegnato da Maria Fernanda Cuba Camayo, Francesco Ingino e Andrea Panzera
Nel segno di Castiglioni
È in questo workshop che hanno preso forma Eat, pray, love, l’inginocchiatoio di Maria Fernanda Cuba Camayo, Francesco Ingino e Andrea Panzera giocato tra cultura e culto del cibo. E poi Cocoon, altra creazione ironica, di Laia Aviñoa, Ali Beydoun, Hussein Beydoun, Victor Tatoiu, la piccola architettura portatile che, aperta, aiuta a condividere il pasto, aumentando il comfort e la socialità, chiusa, offre una bolla privata che permette di isolarsi. O, ancora, Master of masters di Diego Barba, Tung Yu Wan e Oluwatomiloba Oyedeji, ispirato ad Achille Castiglioni, una piccola installazione che evoca la delicatezza delle cose naturali, il gioco e la sapienza artigianale. Un omaggio che parla di una ricetta universale: unire gli ingredienti, dare vita a un rituale, creare composizioni in costante evoluzione come la natura, simboleggiata dalla pianta d’ulivo che si arrampica lungo la struttura.

Cocoon di Laia Aviñoa, Ali Beydoun, Hussein Beydoun, Victor Tatoiu, la calotta per isolarsi mentre si mangia

Cocoon di Laia Aviñoa, Ali Beydoun, Hussein Beydoun, Victor Tatoiu, la calotta per isolarsi mentre si mangia
Un’icona italiana vista da lontano
I tre pezzi, con gli altri cinque dei ventisei allievi internazionali del master in Industrial design, sono in mostra con il titolo Buono e giusto – miti e riti di un’icona pop – a luglio e a settembre (non ad agosto) alla Scuola Politecnica di Design in via Carlo Bo 7 a Milano. Dice Matteo Ragni: “Gli allievi della Scuola Politecnica arrivano da tutto il mondo, hanno già una laurea, alcuni hanno lavorato o lavorano. La sfida era di spingerli a creare non esemplari di design tradizionale – l’ennesimo piatto, per dire – ma nuovo senso intorno all’esperienza del cibo partendo da un punto di vista inusuale”. Non sfugge il valore aggiunto di un’iniziativa che produce design con gli occhi – e la mani – di professionisti stranieri, “in grado, dunque, di passare allo scanner i nostri valori e restituirceli diversamente da come faremmo noi italiani”.

La lampada In between di Ksenia Akselrod, Marie Rose Ghanem, Nasser Harb, Cem Giorgio Ucan
Un invito a giocare
Il risultato, eppure, è molto italiano, a partire dall’ironia che nella collezione diventa, con l’inginocchiatoio, irriverente, se non dissacrante. Del resto già il titolo del laboratorio e della mostra – Buono e giusto – funziona come un invito a giocare col sacro. “Con una serie di piccole astuzie poetiche, abbiamo sviluppato in otto pezzi il concetto che ciò che è bello è giusto e ciò che è giusto è bello”, spiega Ragni.

Master of masters di Diego Barba, Tung Yu Wan e Oluwatomiloba Oyedeji, la bilancia ispirata ad Achille Castiglioni
L’importanza della materia
L’altra caratteristica che spicca nella collezione è la sua assoluta matericità. I materiali utilizzati sono legno, vetro e ceramica, scelti nel rispetto della freschezza e della genuinità del cibo e avendo a cura la sostenibilità dei progetti stessi. “Il buon design, come le buone idee, diventa realtà se passa da buone mani, e non soltanto dall’ultimo modello di notebook” dice Ragni. “Credo che chi si avvia a diventare designer oggi debba da subito misurarsi con la materia, prima ancora che con il digitale”.

Foodprints di Alison Wallace, Maxim Monsecour, Omar Qubain, tagliere e vassoio insieme
Il tagliere e la lampada
Nella collezione, oltre al cocoon, all’inginocchiatoio e alla bilancia ispirata a Castiglioni, c’è Foodprints di Alison Wallace, Maxim Monsecour, Omar Qubain, tagliere e vassoio insieme dove l’impronta del pane nella ceramica invita a osservare le differenze e ricorda che ogni creazione artigianale è unica e irripetibile. Ancora, In between di Ksenia Akselrod, Marie Rose Ghanem, Nasser Harb, Cem Giorgio Ucan è una lampada-scultura nata con lo stesso processo di stratificazione tipico della preparazione di un panino, che in questo caso diventa stratificazione di giochi di luce. Occhiello di Sofia Perazzolo, George Saghbini e Patricia Amat Pons, invece, è un punto di vista inedito sull’atto del mangiare. Una serie di specchi posta intorno a una mensa, un piatto sospeso al centro dell’installazione per ospitare il panino: gli specchi riflettono l’immagine della persona mentre mangia e le permettono di leggere alcune parole chiave nascoste che diffondono la conoscenza dei valori racchiusi in ogni panino.

Occhiello di Sofia Perazzolo, George Saghbini e Patricia Amat Pons, il sistema di specchi che riflette l’atto del mangiare
Il gusto per l’olfatto
The scent di Ralph Metni, Albina Omarova e Federica Saccone, poi, sono quattro ampolle che custodiscono altrettante essenze alimentari. I contenitori ricordano gli strumenti di un alchimista e non influenzano la percezione del contenuto, né l’aroma all’interno. La sacralità del gusto passa anche dall’olfatto. Right balance di Volkan Dogan, Tina Saghbini, Fadi Yachoui, infine, è uno strumento che gioca a ricreare il valore fondamentale alla base del panino italiano: l’equilibrio tra gli ingredienti. Il panino buono e giusto nasce da una combinazione precisa di artigianalità, creatività e tradizione. La bilancia invita quindi a trovare la composizione corretta di maestria, territorio e creatività. Come nel panino perfetto, perché la scultura sia in bolla è ammesso solo ciò che è essenziale e niente di superfluo.

Right balance di Volkan Dogan, Tina Saghbini, Fadi Yachoui_ la bilancia che va in bolla